Ketchuptroiane

Dopo due anni di lavoro sulla tragedia, siamo approdati in questo universo shakerato senza nome, in questo limbo di ricordi e di presagi. Le Troiane sono una tragedia senza azione un’epopea rovesciata dove tutto è già avvenuto, poesia che tende al lamento, parola che si fa fiato e poi silenzio.

La guerra l’abbiamo vista al telegiornale negli special televisivi della sera.
Vediamo corpi abbandonati a terra sporchi di sangue come in un film di Tarantino. Come in un film… E’ sangue? E’ tutto vero? E’ pomodoro? E’ un’impresa colonialista? Tutto quel rosso… fuoriesce come nei panini del Mc Donald’s…

Eccoci in pieno black-out conoscitivo. Come il black-out spaziale che c’è tra le nostre città incantate e le zone di guerra, fra Roma e Bassora, fra la Lombardia e il Darfur… A un’ora di aereo si passa dall’inferno dei maceti alle scale mobili della Rinascente.
La guerra di Troia: dieci anni di assedio, dieci anni di embargo. Euripide ci parla del momento dopo la guerra, quando gli attacchi sono finiti, quando chi è rimasto deve fare i conti con quello che ha visto. Pensiamo questo spettacolo come ad un corridoio strettissimo che passa tra due stanze, in una c’è la guerra, nell’altra c’è la ricostruzione. In mezzo sospeso nel vuoto un sipario Magrittiano.

Per noi le Troiane sono questo necessario corridoio di decompressione, un luogo di sospensione ben poco mitico in uno spazio tra la guerra e un nuovo equilibrio. Le troiane sono un popolo finito che ha una sola possibilità di ricominciare: stare lì, rimanere dove nessuno vorrebbe essere.
I protagonisti della nostra storia non saranno né gli eroi valorosi degli achei, né la parte della famiglia reale delle troiane, saranno donne comuni e soldati semplici, quelli che la guerra e la ricostruzione la fanno davvero. Saranno la madre dell’ultimo Kamikaze, il sottotenente elicotterista processato in carcere per essersi rifiutato di eseguire gli ordini in missione, saranno i sassi che ostacolano gli ingranaggi della macchina retorica che vorrebbe la guerra e poi subito la pace, la pace e poi subito la guerra.

Uomini e donne stanchi che si guardano da due parti differenti di una storia più grande di loro. Soldati persi in un’isola davanti al nulla come nel “Deserto dei Tartari”… Uomini e donne sullo stesso piano, tornati bambini in pannolone e cuffia. Tutti siamo soldati, tutti siamo troiane, basta un vestito colorato, una danza di gruppo festosa, un elmetto calato sugli occhi.
Il gesto si ferma a guardare i corpi umiliati, il vuoto vero, la ricerca di un rito ancora gioioso, l’eco di qualcosa di troppo grande per essere compreso.  Lo stupore sincero dei bambini davanti al totem della guerra…

liberamente tratto da
Le Troiane di Euripide e
Il Mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante

direzione, coreografia e canti
Michela Lucenti


in scena

Maurizio Camilli, Francesco Gabrielli, Emanuela Serra, Yuri Ferrero, Emanuele Braga, Michela Lucenti, Damiano Madia, Ambra Chiarello, Alice Conti, Tony Ceschia, Lisa Pugliese, Alberto Cacopardi, Marco Rogante, Eva Rossella Biolo

drammaturgie

Andrea Malpeli ed Emanuele Braga

disegno luci

Stefano Mazzanti

una produzione

Balletto Civile / DANZARTE Circuito Danza Lombardia

e con il sostegno di

CSS Teatro Stabile d’innovazione del FVG