Giocasta


Tutte le divinità dimorano nel petto umano. ”

William Blake, Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno

 

La fine di una storia d’amore che condanna il futuro e segna un’intera generazione.
I miti, come segni indelebili, continuano a vivere nei nostri atti quotidiani: nella violenza, nel sacrificio, nell’amore.
Le storie delle nostre periferie non sono meno potenti né tragiche di quelle degli eroi.
Ed è ai nostri giorni che ambientiamo la storia di un amore impossibile tra una donna matura e il giovane marito.
Poco importa se, come si mormora nei bar, lei sia veramente sua madre: il legame tra tragedia e commedia è inestricabile, come la vita stessa ci insegna. Come affermava Jean Cocteau, “Il teatro realista sta alla vita come le tele del Salone delle Belle Arti stanno alla natura.”

Così, Giocasta, la madre affascinante e contraddittoria della tragedia greca, qui si trasforma in una donna anonima, protagonista di un racconto frammentato, scaturito da una tensione poetica che emerge di fronte al dramma dell’amore, nella sua forma più pura e nella sua assoluta, tragica prevedibilità.

Pochi oggetti di scena, un linguaggio fisico che accompagna la narrazione, la voce come strumento musicale, una struttura non lineare, un flusso di coscienza, un canto dissonante, e un corpo che freme per raccontare la velocità inarrestabile del tempo che passa, e la lucida follia della stirpe di Edipo.

Una sfida alle convenzioni di una società patriarcale, in una Tebe contemporanea.

Da un’idea di personaggio e da una ricerca antropologica sulla tragedia nasce il desiderio di non assemblare, né “virgolettare” il mito, ma di raccontarlo di nuovo, per comprenderlo in profondità.
La danza, per me, non è solo un fatto estetico, ma un atto comunicativo, un pensiero condiviso sulla crisi che intercorre tra individuo e comunità, in un tempo di trasformazione.

Per me, la danza, al di là di ogni moda, è sempre stata molto più di un semplice atto estetico o di ricerca metodologica: è un atto comunicativo, una riflessione condivisa su una crisi che investe il rapporto tra individuo e comunità.
Questo progetto si propone di esplorare i temi dell’ambizione, del potere e della devastazione che ne deriva, attraverso il corpo, la voce e la musica. Questi elementi sono concepiti come strumenti capaci di restituire, con potenza fisica e sensoriale, il dramma eterno di una madre e di una città, riflettendo le tensioni senza tempo della nostra contemporaneità.
La drammaturgia fisica è sempre stata al centro della ricerca di Balletto Civile. Credo fermamente che i corpi, nella loro forza e debolezza, siano lo specchio degli enigmi della condizione umana. Il lavoro sul corpo diventa così una forma di testimonianza, l’atto più politico, poiché il corpo è il veicolo e il testimone più diretto del presente.
Immagino la danza come uno spazio in cui il corpo si riappropria della propria voce, aprendo la strada a una riflessione più ampia. La crisi di cui desidero parlare riguarda le relazioni umane, la frattura tra individuo e comunità, così come quella tra corpo e potere, e tra uomo e donna.

Michela Lucenti

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regia coreografia e interpretazione Michela Lucenti
musiche originali e interlocutore sonoro dal vivo Thybaud Monterisi
assistente alla creazione Maurizio Camilli
sguardo Emanuela Serra
luci Stefano Mazzanti
costumi Giulia Spattini
suono Andrea Melega

produzione Balletto Civile
in coproduzione con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
con il sostegno di Torino Danza Festival / Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale, Orbita-Spellbound, MiC

nell’ambito di CARNE focus di drammaturgia fisica

foto di Andrea Macchia per Torinodanza

ph. Andrea Macchia
per TorinoDanza

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